La voglia di riscatto nelle mani del parroco e dei volontari della Santa Famiglia
Di Maristella Massari – Gazzetta del Mezzogiorno – 1 Agosto 2016
La strada maestra che porta alla Santa Famiglia punta solo verso la città. Come un tunnel da percorrere in direzione della luce e ritorno. Per la gente della Salinella, il resto di Taranto è “città”, perché il quartiere è altro, non le appartiene, non si sente ramo dello stesso albero. E’ un’idea sedimentata dopo anni di delusioni, abbandono, rabbia verso le istituzioni troppo lontane, troppo distratte. Fin da quando, a metà degli anni ’60, il Comune non decise di mettere in atto un corposo piano di edilizia popolare edificando palazzacci con i tetti rossi spioventi (che fanno a pugni con la vocazione marinara della città) in mezzo al fango, alla polvere e al nulla. Da allora, in quasi 50 anni, non è cambiato molto. Per muoversi tra le vie dei laghi non ci sono traverse. Una di queste, Via Candelli, fu aperta a furor di popolo una decina di anni fa dopo una accesa battaglia tra residenti e amministrazione. E anche se all’ingresso c’è il cartello del senso unico per chi proviene da via Golfo di Taranto, tutti la percorrono in auto contravvenendo al divieto. «Prima o poi – dice con ironia Francesco Settembre, responsabile dell’Osservatorio Permanente Salinella, nato in seno alla parrocchia della Santa Famiglia per monitorare i bisogni e le esigenze dei cittadini – diventerà a doppio senso per usufrutto».
Via Candelli è l’unica che collega la zona del Sestante, le case nuove delle cooperative con i negozi, la posta e la farmacia, alla pancia della Salinella. Chi non ha l’auto si arrangia. O se la fa a piedi, percorrendo un giro di quasi due chilometri, o taglia da una collinetta di terra polverosa in estate e di fango in inverno, scavalcando una recinzione di un terreno abbandonato. Ovviamente per andare a comprare le medicine (a piedi) nella farmacia del Sestante ci vogliono gambe buone. E questo già taglia di netto il 50% dei residenti delle case popolari che hanno superato l’età pensionabile.
Qui, nel cuore popolare del rione Salinella, funziona così. Tutto, anche l’urbanistica e la viabilità, è pensata perché sia e resti un ghetto. Don Pinuccio Cagnazzo, parroco della Santa Famiglia dal 2015, e le sue settemilacinquecento anime, lo sanno bene. Ma sanno anche che – parafrasando Siani – alla Salinella si piange due volte: quando arrivi e quando te ne vai.
Le pecorelle di don Pinuccio e del suo giovane “vice” don Giuseppe Marino, preti di frontiera in un quartiere da battaglia permanente, sono generose, schiette, hanno un cuore grandissimo. E così capita che mentre raccogliamo le testimonianze dei volontari che tengono viva la fiamma della speranza in un quartiere dimenticato da tutti come questo, arrivi qualcuno a portar vestiti usati che un minuto dopo sono già nelle mani dei bisognosi.
Già, il bisogno. Alla Salinella non è solo materiale, ma è anche sociale. Il degrado ha mangiato il cemento dai balconi mai ristrutturati, ma ha anche corroso pericolosamente le regole del vivere civile.
«Il brutto chiama brutto», dice don Pinuccio. E perché questa catena si spezzi, lui ogni mattina scende i quattro scalini della sua chiesa e cammina. I suoi sandali e quelli di don Giuseppe ne fanno tanta, di strada. Entrano nelle case dei detenuti agli arresti domiciliari per una parola di umana misericordia, portano un sorriso alle famiglie che in attesa dell’assegnazione hanno occupato per mesi, in inverno, le case popolari senza che ci fossero ancora le finestre e l’acqua corrente. La croce qui se la portano tutti, così pesa meno. «Venite a vedere queste case – dice don Pinuccio -, guardate negli occhi i miei parrocchiani. Sono case normali e persone normali. La gente della Salinella è solo più arrabbiata. Ce l’ha con l’amministrazione, col governo, con tutti quelli che si sono dimenticati di loro come si fa con un parente scomodo».
Lo Stato è assente. L’unica forma di welfare è la famiglia. «Hanno inaugurato un centro per anziani, che sta chiuso e blindato da settimane – spiega Aldo, un commerciante che dopo un passato burrascoso sta riprendendo dignitosamente in mano la sua vita –. Inaugurano, tagliano i nastri e spariscono. Ma qui prima che agli anziani dovrebbero pensare ai bambini. Alla Salinella ce ne sono tanti perché di figli se ne fanno assai. Questi bambini che fine fanno? Perché nessuno se lo chiede? Non c’è neppure più una scuola nella zona. La prima sta oltre via Ancona, o passata via Golfo di Taranto. Chi non ha la macchina come li porta a scuola i figli? Poi questi bambini stanno tutto il giorno per strada. E la strada mangia, fatevelo dire da me che sono nato qua».
Salinella fa rima con abbandono. Accanto a quello scolastico c’è il disimpegno istituzionale. Chiuse le circoscrizioni, la presenza del “pubblico” si è velocemente defilata dal cuore del rione. Prima le Poste che si spostarono verso la zona del Sestante una decina di anni fa, poi la farmacia, il tabacchino e via dicendo. A presidiare il fortino resta don Pinuccio, con un manipolo di fedelissimi. «Taglia e taglia alla fine questo è diventato un quartiere dormitorio – dice Aldo Cesario, giornalista e volontario in parrocchia –. Con Mia moglie Gabriella siamo qui dal ’91 ma le cose sono andate sempre peggio. Manca tutto. Gli amministratori latitano e il quartiere è preda del degrado». L’abbandono è palpabile. Le strade, persino quelle battutissime intorno al mercato, sono ridotte ad un colabrodo. La signora Giovanna, quasi ottantenne, ci mostra le sue ginocchia sbucciate manco fosse una bambina. «Scendo sola per fare la spesa. Accudisco mio marito che ha 86 anni e non esce più. Così tocca fare tutto da sola. L’altro giorno sono caduta qui – dice mostrandoci una voragine nel marciapiedi scavato dall’incuria –, e sono finita sul breccione». Il suo lamento da il “la” al refrain degli insoddisfatti. Le voci sono tante, ma il bersaglio è unico. Piero è uno degli operatori commerciali del mercato coperto. «Mancano i controlli, ci hanno tolto i due mercatini delle pulci, invece di studiare una soluzione che permettesse di continuare a lavorare a noi e a loro. Così ci portano alla fame. E poi si guardi intorno. Le strade sono distrutte. Le blatte ci invadono».
Sul banco degli imputati c’è l’amministrazione Stefàno, colpevole, secondo i commercianti della Salinella, di penalizzare il quartiere relegandolo ad un ghetto. Dalle polemiche alla cronaca il passo è breve. Per decine di isolati non troviamo né un bar, né una salumeria, né una saracinesca sollevata. Oltre i portici di via Lago d’Albano c’è la terra di nessuno. Quella strada che come dice Aldo, “mangia“. Lo spaccio, il fumo, i motorini truccati, in tre sullo stesso sellino, molti cognomi sulle targhette dei citofoni sono gli stessi che finiscono nelle ordinanze della procura. Don Pinuccio non fa una grinza. Sono tutte anime sue, solo più bisognose di attenzioni e di conforto. Pe porte della parrocchia restano sempre aperte per tutti, come ha chiesto il Papa. L’oratorio è una enclave della gioia in un quartiere che sembra aver perso il sorriso. Le grida festose dei bambini sono il segno della speranza, un seme che si porta dentro la promessa del riscatto. «Non lasciamo che muoia – dice don Pinuccio che si appella alla “città” –: aiutateci a farlo germogliare».