“Se puoi sognarlo, puoi farlo”, le voci dalla marcia

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Lo scorso 6 Aprile, come è oramai ben noto anche a livello nazionale, si è svolta una “Marcia per l’Ambiente” da Statte a Taranto che, per quasi 5km, ha visto coinvolte diverse migliaia di persone tra bambini, mamme, giovani, adulti presenti in quanto singoli cittadini e associazioni, provenienti dalla provincia tarantina così come da altre realtà italiane (come ad esempio i “No al Carbone” di Brindisi, i “No Smog” di Trieste o il Comitato “Salute e Vita” di Salerno, giusto per fare alcuni esempi).

Nonostante il tempo non sia stato troppo clemente (a tratti si è andati incontro ad un vero e proprio diluvio), possiamo tranquillamente affermare che si è trattato di una manifestazione pienamente riuscita. Alla manifestazione abbiamo partecipato anche noi dell’OPS – Osservatorio Permanente Salinella, e durante la marcia abbiamo voluto ascoltare quelle che abbiamo voluto definire “le voci della marcia” stessa. Ecco chi abbiamo sentito e, a seguire, le risposte alle nostre domande:

  • Ettore Bellanti, dei NO SMOG di Trieste
  • Donato, dei NO AL CARBONE di BRINDISI
  • Roberto Missiani, collaboratore televisivo freelance
  • Nico Perrone, capo scout AGESCI
  • Giovanni Carbotti, di Taranto Respira
  • Massimo Leggieri, del Comitato Spontaneo “No all’antenna” di Lama
  • Angelo Bonelli, Presidente dei Verdi nazionali e consigliere comunale a Taranto
  • Lorenzo Forte, del Comitato Salute e Vita di Salerno
  • Alessandro Marescotti, Peacelink
  • Antonio Lenti, giovane tarantino
  • Fabio Millarte, WWF Taranto
  • Vincenzo Carriero, direttore di Cosmopolis Media
  • Fabio Matacchiera, Fondo Antidiossina Taranto
  • Alda D’Eusanio, giornalista RAI

 

Il motivo principale per il quale tu sei qui, oggi?

Nico: Perché ci tengo all’ambiente.
Roberto: Perché questa città in questo momento non ha un futuro
Donato:  Non è la prima volta che partecipiamo con i NAC (No Al Carbone, n.d.r.) alle manifestazioni promosse dai movimenti tarantini, così come altre volte Brindisi ha accolto alcuni esponenti tarantini nelle proprie lotte, e questo è stato utile per entrambe le cause: i NAC hanno portato la loro solidarietà al movimento tarantino ritenendo sacrosanta la battaglia che si svolge qui a Taranto, soprattutto quella dell’Ilva pur non essendo l’unica (oggi siamo qui a Statte dove mi risulta che ci siano dei cementifici, delle discariche, Italcave). Brindisi vive una situazione parallela, insieme con Taranto sono due città gemellate nella sventura, e per noi è importante accendere i riflettori anche su quella che è la nostra situazione, altrettanto grave dal punto di vista sanitario: abbiamo malformazioni neonatali che superano di molto le percentuali nazionali, abbiamo il 48% in più rispetto alle malformazioni cardiache che sono malattie gravissime. E naturalmente un eccesso di tumori soprattutto nelle fasce femminili.
Giovanni: Noi siamo qui per chiedere la chiusura di tutte le fonti inquinanti perché le alternative per Taranto ci sono e sono possibili: ieri il nostro amico Vincenzo (Fornaro, n.d.r.) ha fatto la prima semina della canapa dopo che gli hanno ucciso 2000 pecore, stiamo ponendo tutti i giorni uno studio per le alternative che per Taranto sono possibili, lo facciamo già da diversi anni con Altamarea prima e Taranto Respira poi. Ora faremo dei banchetti per dire che alternative possibili ci sono a Taranto, non ci sono solo lavori che ammazzano le persone, non bisogna lavorare per morire, bisogna lavorare per vivere e per vivere meglio. Noi lotteremo per le alternative e per la chiusura di tutte le fabbriche inquinanti: Ilva, ENI, Arsenale e tutte quelle fabbriche che danneggiano il futuro delle prossime generazioni per i prossimi 30 anni. Questo non possiamo permetterlo, se noi permettessimo questo vorrebbe dire essere complici, io sarò complice se non farò nulla per questo. Le alternative ci sono, ho detto ai miei amici di Ammazza Che Piazza: fate le cooperative, iniziamo a creare cooperative e a creare lavoro dal basso, fare progetti e chiedere alternative, così in 6-7 anni si svilupperanno alternative a queste monoculture che partono dall’inizio del secolo.
Massimo: Perché ormai non se ne può più, noi ormai siamo diventati la discarica d’Europa, io ho due ragazzi di 30 e 33 anni che sono usciti fuori Taranto per lavoro e sono fiero di questo, perché qui non se ne può più a livello di inquinamento e disoccupazione. Ci sono dei permessi che ancora non sbloccano la situazione del porto turistico, perché? Perché l’aeroporto di Grottaglie ancora non decolla? Perché dobbiamo ancora assistere allo scempio di questo territorio che è spettacolare, se consideriamo che negli altri posti d’Italia e d’Europa delle pietre buttate lì per terra ne fanno un uso eccellente dal punto di vista culturale e qui, invece, abbiamo questo ferro fuso che ormai non se ne può più?
Angelo: Perché Taranto è il simbolo di un’Italia che deve cambiare, il problema non è di Taranto o di Statte ma di tutti gli italiani: in questa città e in questo territorio per decenni è stata scaricata una quantità di diossina che ha levato la vita a molte persone e che rischia di compromettere il futuro delle generazioni che verranno, i bambini che nasceranno oggi, domani. Noi abbiamo la necessità di fare una battaglia etica, morale, non tanto politica (per me è anche politica), ma una battaglia etica e morale per questi bambini che nasceranno ed i ragazzi che ci sono oggi. Il punto è sul come cambiare: io sono assolutamente contrario a questa politica che ci vuole far credere che l’Ilva verrà messa a posto, quando sappiamo che tecnologicamente non è assolutamente possibile, e chiedo “ma perché in altri paesi d’Europa gli stessi problemi di Taranto sono stati risolti in maniera incredibile, tipo a Bilbao dove c’era un polo siderurgico che è stato fermato ed oggi Bilbao è una città con un’occupazione che è due volte e mezzo rispetto a quella che c’era prima?“. Questo tipo di sviluppo è possible, noi abbiamo indicato un percorso che è la no-tax area, fare di Taranto un polo tecnologico-scientifico-culturale, della ricerca, e rilanciare la cultura e fare investimenti in questa direzione, ma all’industria pesante dev’essere assegnata la storia. Il motivo per cui sono qua è perché in queste battaglie bisogna metterci la faccia, animo e corpo anche quando questo, come in questo caso a me, costa molto: io sono stato emarginato dal centro-sinistra e sono stato etichettato come qualcosa da buttare fuori, però penso che alla fine – quando una battaglia è giusta e forte – c’è una giustizia divina.
Alessandro: Perché sono prima di ogni altra cosa un papà, non mi sentirei a posto con la coscienza se non facessi tutto quello che è in mio potere per chiedere lo stop all’inquinamento, per chiedere una città ed un futuro che non faccia fuggire i ragazzi. Qui ci sono tanti ragazzi che spero non fuggano da Taranto, e l’unico modo per non farli fuggire è vincere.
Lorenzo: Noi siamo del Comitato Salute e Vita di Salerno, costituito da anni in quanto abbiamo un problema simile al vostro (anche se minore) che ci riguarda, perché la fonderia Pisano inquina, ha avuto precedenti penali, e come per l’Ilva lo stato nel 2012 ha tentato di mettere una pezza dando l’AIA, così a Salerno la Regione Campania ha dato l’AIA dopo che c’erano stati precedenti penali, uno dei quali ancora in corso, dove per la prima volta il PM diceva che i metalli pesanti come piombo, cadmio e altro che uscivano dalla fonderia erano pericolosi per la salute umana, anche se noi abbiamo già la certezza data dal numero di vittime che contiamo e che si ammalano di leucemia, di tumore e di altre malattie. Per questo siamo qui: prima di tutto perché sentiamo che c’è la necessità di fare rete, e poi siamo qui a portare la nostra solidarietà, qui dove succede un qualcosa 100 volte più grosso di quello che succede da noi. Proprio il 12 faremo un incontro, a Salerno, al quale dovrebbe partecipare anche Peacelink, in cui abbiamo invitato Taranto, Salerno e la Terra dei Fuochi perché convinti che solo insieme si possa fare qualcosa.
Antonio: Io c’ero già nel 2007 quando eravamo solo in 300 ed oggi in città – non qui alla marcia – siamo quasi 50.000, o almeno così sembra, quindi grandi risultati sono stati ottenuti. Io a suo tempo sono stato sensibilizzato e credo che ora tocchi a me sensibilizzare gli altri, è come una catena: se faremo tutti rete allora ne usciremo. Il motivo per cui sono qua oggi è per chiedere un ambiente più salubre – la salute dovrebbe essere al primo posto – e chiedere alternative economiche differenti: noi vogliamo svoltare, questa monocultura dell’acciaio a noi non va più bene. Non c’è solo l’acciaio, abbiamo l’ENI, la Cementir e altro ancora.
Fabio Millarte: Perché ritengo che sia giusto appoggiare qualsiasi iniziativa che porti come bandiera la chiusura dell’area a caldo perché, anche se molti dicono che chiudere l’area a caldo significa chiudere lo stabilimento. A me interessa che le fonti inquinanti cessino e si fermino, e diano di nuovo la possibilità alla gente di respirare e di vivere in un mondo non dico pulito, ma almeno a misura di uomo.
Fabio Matacchiera: Una premessa: sono molto contento di vedere tutta questa gente nonostante il tempo brutto, tanta gente è venuta copiosa a questa manifestazione pacifica, è un segno importante perché quando si muovono i bambini con le mamme in talune situazioni come questa in cui il tempo è inclemente, allora vuol dire che c’è una forte motivazione. Questo ci incoraggia molto e ci da il senso del maggiore coinvolgimento da parte dei cittadini di Taranto, ed oggi ne vediamo molti che vengono da Statte, Crispiano o altre province. L’opinione sta cambiando, c’è ancora molto da lavorare ma è certo che i cittadini di Taranto non possono aspettare ancora troppo tempo, siamo ancora pacifici e perseguiremo questa condotta, però non possono abusare della nostra pazienza. Le istituzioni tutelano i nostri diritti, la salute dei nostri bambini, e non tutelano l’ambiente, siamo ancora pacifici ma io dico: attenti, perché la pazienza potrebbe anche finire, e quindi poi non si è più responsabili di azioni che noi scongiuriamo e che possano diventare azioni non così pacifiche.

Come giudichi la partecipazione in numeri?

Giovanni: Ne parlavamo prima con altri ragazzi, io credo che saremo sulle 15.000 persone e, tenendo presente che c’era la necessità di spostarsi venendo da Taranto mentre le altre manifestazioni erano in centro, direi che la risposta della città è stata abbastanza forte. Ci sono anche rappresentanze di altre città italiane, Taranto è l’esempio per altre realtà italiane: il caso Bagnoli, con tutte le magagne che hanno fatto, è partito solo dopo l’inchiesta dei magistrati di Taranto.
Alessandro: E’ abbastanza partecipata, era insolita perché non partiva dalle strada ma da un discorso di marcia tipo Perugia-Assisi. E’ in ogni caso una manifestazione partecipata, il dato nuovo è che ci sono persone che vengono da Statte. A Taranto dobbiamo tenere alto il senso di partecipazione civile, una parte della cittadinanza sta considerando persa la partita e si sta insinuando il senso della rassegnazione, della sconfitta ed in alcuni casi anche di rabbia; noi dobbiamo sforzarci di comprendere le strade per uscire dal labirinto, la nostra lotta che prima sembrava un assalto si è trasformata in una partita a scacchi in cui per vincere serve un’opinione pubblica attenta, che conosca i dettagli della partita, dobbiamo saper individuare i veri punti di criticità che in questo momento sono la contaminazione da diossina che persiste nonostante la riduzione delle emissioni, oppure la presenza nelle falde di un forte inquinamento che va bloccato, oppure ancora il fatto che la situazione sanitaria è fortemente compromessa e richiede controlli accurati. Noi come Peacelink abbiamo proposto che i donatori di sangue vengano testati perché si verifichi se nel loro sangue c’è piombo o metalli pesanti, oppure fare il controllo delle urine degli operai della cokeria. Abbiamo quindi tutta una serie di questioni di ordine sanitario e ambientale che vanno approfonditi, e se noi puntiamo su questo e se l’opinione pubblica sostiene una lotta informata ed una controinformazione intelligente, noi metteremo in difficoltà coloro i quali nascondono la gravità del problema, perché la gravità del problema rimane e rimarrà anche se si dovessero spegnere i camini, il nostro problema non è quello di spegnere i camini ma quello di ottenere il risarcimento prima che fallisca l’Ilva.
Fabio Matacchiera: I cittadini non erano pochi, parliamo di migliaia di persone, sono grandi numeri, questa è una manifestazione più per le persone di Statte e delle periferie, ed hanno partecipato nonostante il brutto tempo che, abbiamo visto, è stato inclemente e in alcuni momenti anche con forte temporale, ma nonostante tutto la gente è rimasta. E’ chiaro che non si poteva fare di più, aspettarsi di meglio, questa è una dimostrazione che c’è una voglia di cambiamento e che si vuole una città migliore senza questo obbrobrio che sta sulle nostre teste.

In relazione al numero di persone direttamente interessate dal problema inquinamento forse oggi siamo in pochi. Quali ripercussioni avrà questa manifestazione, e quale risultato speri di ottenere?

Roberto: Taranto, nonostante le divisioni intestine, sta vincendo per tanti motivi. Taranto sta facendo promozione e informazione, sta divulgando e poi c’è una grande produzione intellettuale: molti si stanno attivando, stanno abbracciando la causa ambientalista – in fin dei conti respiriamo tutti la stessa aria – e si stanno mettendo in gioco, c’è una produzione intellettuale notevole. Qualche minuto fa ne parlavamo, e si pensava che Taranto potrebbe diventare il collettore di tutte le nostre proteste e addirittura indicare l’inversione del trend: ci siamo resi conto che questo tipo di industria non può durare a lungo e soprattutto è deleteria per tutti, non soltanto per chi ci lavora.
Lorenzo: Smuovere le coscienze, sensibilizzare e far venire fuori quello che succede. Da noi a Salerno se passi vicino alla Fonderia Pisano la stessa ti sembra chiusa, gli operai sono 150 e la fabbrica è in decadenza, sembra chiusa, e la gente del territorio pensa che sia effettivamente chiusa. Noi, con il Comitato, con la fiaccolata che abbiamo fatto per ricordare le vittime, stiamo provando a far sapere a tutti che quel problema esiste: la puzza che i cittadini sentono o la polvere nera che vedono per chilometri (in tre Comuni: Salerno, Capezzano e Baronissi) la gente non riusciva, prima, a capire da dove venisse. Noi possiamo ottenere tanto se prendiamo coscienza, abbiamo anche il potere del voto, possiamo bloccare i politici eletti che diventano complici invece di tutelare la salute dei cittadini. L’unica strada che abbiamo – anche se non conosco il risultato che possiamo ottenere – è quello di prendere coscienza.

Alla gente che è rimasta a casa cosa dici?

Ettore: Che forse prima o dopo potrebbero pentirsi di non aver partecipato.
Nico: Che hanno perso un’opportunità di dimostrare quanto bene vogliono all’ambiente
Roberto: Posso solamente invitarle ad informarsi e a leggere
Donato: La gente deve prendere coscienza oltre che avere notizia, uno è un discorso di diffusione della notizia che un evento si svolge, l’altro è una presa di coscienza: una volta che uno lo sa deve prendere coscienza e farlo attivamente. Per esempio, io vedo che nelle manifestazioni a Taranto – in generale – c’è stata una partecipazione operaia, di alcuni operai che hanno capito la gravità della situazione e che nonostante mettano a rischio il proprio posto di lavoro confidano in un futuro diverso che possa partire intanto dalle bonifiche – perché in tutte e due le città c’è tantissimo da lavorare per recuperare ciò che è stato rovinato in maniera irreversibile.
Giovanni: Non rimanete a casa, una volta all’anno…noi facciamo riunioni due-tre volte a settimana, oltre ai convegni, sacrifichiamo gran parte della nostra vita oramai da anni per questa città, e se a loro viene chiesto una sola volta di partecipare – una volta all’anno – allora devono alzarsi e venire. Ci sono ragazzi di altri movimenti che veramente si sacrificano, gratuitamente, tutto l’anno per cercare di cambiare questa realtà.
Massimo: Purtroppo il tarantino è ce me ne futte a me, non capiscono la gravità di questi problemi. Se non si è uniti non si va da nessuna parte, hanno sistemato con i decreti Ilva una situazione che noi avremmo potuto vincere, in una città così inquinata sotto tutti gli aspetti non abbiamo neanche raggiunto il quorum per il famoso referendum sulla chiusura dell’area a caldo, è una situazione allucinante.
Lorenzo: State attenti, ci hanno abituato negli ultimi 20-30 anni a non avere più quel senso di partecipazione di massa e solidarietà, ci hanno costruito addosso questa coscienza-non coscienza, il preferire il proprio orticello. Se non ci mettiamo insieme e non capiamo che il problema di Taranto e di chi è morto qui è il problema dell’Italia (siamo tutti vittime della corruzione, dei poteri forti e di un sistema capitalista) allora siamo persone che non andranno da nessuna parte. Il messaggio che lancio è: pensate che non è un problema solo dei tarantini o di chi ha perso qualcuno di caro, perché il problema potrebbe diventare il vostro, perché potreste ammalarvi o vivere in una città dove non c’è sicurezza, non c’è salute o lavoro, due diritti che non possono essere disgiunti. Il mio appello è: partecipate! Solo così possiamo avere una speranza.
Antonio: Noi lo facciamo anche per chi non c’è, un domani arriveremo a raggiungere l’obiettivo ma di tutto il lavoro che stiamo facendo ne godranno tutti, non voglio essere egoista ma chiedo a chi non c’è di farsi vedere ogni tanto, noi siamo qui anche per gli assenti. Ai giovani dico: capiamo che sta piovendo, che è Domenica, ma non è così che si salvano le città e i popoli. Immaginatevi se Pertini si fosse fermato per un po’ di pioggia!
Fabio Millarte: Io credo che giudicare una manifestazione per due-tre persone che ci partecipano significa chiudersi al dialogo con il resto della cittadinanza ma soprattutto al resto delle idee, perché ognuno deve avere la possibilità di dire la propria. Vorrei tanto che nelle differenze ci si possa mettere tutti sotto un unico ombrello, mantenendo lo stile di questa giornata, un ombrello che è la chiusura dell’area a caldo e delle fonti inquinanti e non si può avere come oggetto di disquisizione la presenza di una persona o di un’altra: l’idea è quella che deve essere portata avanti, la chiusura dell’area a caldo per la salvezza della città.
Vincenzo: Queste sono una città e una provincia disabituate al ragionamento ed alla sensibilità civica, lo sono state nel passato e ancora oggi avvengono queste situazioni: si preferiscono le urla al ragionamento, è una città che si è liberata di Cito ma non del citismo, ed io ritengo che queste iniziative riavvicinino la gente ai problemi reali, e il fatto che ad aver organizzato questo tipo di iniziativa sia stata una testata giornalistica credo che segni un elemento di discontinuità rispetto non solo al passato, ma anche rispetto ad un’idea che la stampa tarantina intesa nella sua complessità abbia avuto e continui ad avere elementi di contatto e di collusione con il potere e con la grande industria.
Alda: Il messaggio che do ai giovani non presenti è: come potete non pensare alla vostra vita, alla vita di coloro che vi stanno accanto, come potete pensare di poter andare allo stadio e di dimenticare che qui c’è una marcia per la vita, non una marcia di majorette, è un qualche cosa di fondamentale quello di vivere e combattere per la salute. Se un giovane non ha al centro dei propri interessi e del proprio cuore la vita e la salute, allora è un vecchio perché è già morto. Il veleno peggiore del mondo è l’indifferenza e l’ignoranza, sono due grandi problemi che si possono combattere con ragazzi come voi che si danno da fare e cominciano a muovere le acque per cercare di portare gli altri a combattere per un ideale vero, sincero, certo. Prima di tutto combattere l’indifferenza, poi l’egoismo, perché uno pensa “tanto il tumore io non ce l’ho, ce l’ha l’altro”, ma il tumore può colpire chiunque, anche chi pensa di essere sano. Cercare di fare quello che state facendo voi e quello che stanno facendo qui sotto l’acqua, non ci sono i grandi giornali e le grandi emittenti, e questo vi dice quanto voi siete guerrieri, perché non siete appoggiati dai grandi interessi dei potenti, siete appoggiati semplicemente dal vostro cuore e dai vostri ideali. Avete la mente pura, e guardate il mondo con occhi puliti: quello che è il vostro compito è di insegnare agli altri di fare la stessa cosa.

Spesso si parla dei giovani come coloro che vogliono scappare da Taranto, e fuggire. Cosa diresti a questi ragazzi, anche per invogliarli a tornare?

Nico: Che il futuro sono loro, se loro si allontanano dalle loro radici va tutto a scemare, è bene che tornino.
Roberto: Mi rendo conto che le esigenze dei ragazzi sono impellenti, hanno bisogno di risposte reali, istantanee perché ne va della loro vita e del loro futuro. Questo è il motivo per cui i giovani non possono aspettare e fermarsi alle promesse, altrimenti la nostra città avrebbe le carte in regola per diventare una grande, vera città. Abbiamo tante bellezze, abbiamo capito che siamo stati negati per tanti anni, abbiamo cose da mostrare a tutti, Taranto varrebbe anche un viaggio intercontinentale per le cose che abbiamo, 3000 anni di storia non ce l’hanno in tanti.
Donato: Li capisco, sono momenti di sconforto che chiaramente un giovane può sicuramente vivere, è però un peccato perché secondo me nascerà da loro quella spinta necessaria a livello di iniziative e di idee che possono portare nuova occupazione. I nuovi modelli di sviluppo che si chiedono sono proprio questi, siamo in un’era completamente differente da quella del secolo scorso e dunque l’informatica, i centri di studio, la ricerca, sono i campi in cui i giovani devono emergere e trascinare la società. Perché dobbiamo sempre fare un’imprenditoria di asservimento, un’imprenditoria di accattonaggio, con imprese satelliti che non sanno fare altro che manutenzione industriale o roba del genere, o comunque imprese aggrappate alla grossa azienda che produce?
Giovanni: Si sentono soli, abbandonati, non hanno alternative, nessuno le crea o nessuno gliele propone. Però abbiamo visto anche altri progetti nel brindisino, nel leccese, di ragazzi che hanno inventato delle alternative, la new economy o tecnologie green, tante cose si possono fare ed è per questo che dico: basta parlare di diossina, di benzoapirene e di furani, parliamo delle alternative e creiamole.
Massimo: Per come stanno le cose i miei due figli, che vivono fuori Taranto, hanno scelto di non tornare più qui dove in effetti non c’è futuro neanche per gli eventuali futuri figli, questa è una terra bruciata nella quale rimarranno solo gli anziani, con i ragazzi come voi che cercheranno di muoversi, perché se ti vuoi inventare di fare il “barcaiolo” sfruttando il turismo, non te lo fanno fare, perché ci sono i soliti che devono darti i permessi e che non te li danno.
Antonio: C’è un ricatto, Taranto non deve avere niente perché non dev’essere niente, quindi o vai a lavorare all’Ilva o devi lasciare Taranto, perché qui c’è una sola università ma è di Bari, lavoro alternativo non ce n’è, e quindi ci tengono sotto scacco, come se fosse stato fatto – secondo me – a tavolino. Chiudono i lavori puliti e raddoppiano quelli sporchi: Marcegaglia, Vestas, il raddoppio di Tempa Rossa e compagnia bella. Hanno deciso questo futuro per questa città, noi ne vogliamo uno differente per far sì che i ragazzi non vadano via da Taranto.
Fabio Millarte: Ai giovani dico che nell’età del 2.0 non importa dove uno ci si trova, ma che le idee siano condivise e portate avanti in maniera coerente. Anche se vivessi a Milano, io potrei fare le mie proposte e noi da Taranto siamo pronti a riceverle. Le associazioni, anche la Chiesa, possono farsi portavoce di un cambio di mentalità.
Fabio Matacchiera: Io capisco quei giovani, a volte dico: “fate bene a scappare, se volete salvare il vostro futuro e le vostre famiglie“. Indubbiamente non possiamo dire “rimanete qui“, possiamo solo dire che da un lato è comprensibile la loro voglia di evadere per poter migliorare la loro posizione, il loro stato di salute e l’ambiente che qui non è sempre rispettato. Noi possiamo contare su quelle forze di quelle persone che hanno il coraggio di rimanere e combattere, bisogna fare forza su di loro e, insieme, portare avanti la nostra battaglia. La storia non si fa in un giorno, non in un mese, ci vogliono anni e noi stiamo facendo la storia. I frutti che forse non vedremo, ma che saranno visti dai nostri figli, ci saranno. I cambiamenti richiedono tempo, i grandi uomini della storia per raggiungere il traguardo della libertà, dell’autonomia, hanno tanto lottato.

Un punto di svolta può essere la formazione, anche in campo universitario, di questi giovani che un giorno prenderanno le redini delle aziende.

Donato: Certo, Taranto è in una situazione simile a quella di Brindisi per quanto riguarda l’esodo di giovani subito dopo il termine degli studi, sono le migliori menti che vanno a studiare fuori e molto spesso si stabiliscono nelle città sedi universitarie. Noi perdiamo quella parte di giovani e dunque rimaniamo arretrati, rimaniamo in balia di quelli che cercano il posto da operaio – e mi dispiace per loro – ma grazie a quei giovani forse domani saranno creati posti sani di lavoro per gli operai, gli impiegati, ma servono anche dei manager che abbiano finalmente cura e rispetto per le persone e l’ambiente dove si produce.
Giovanni: La formazione e la cultura sono alla base di tutto, quella è la molla che fa capovolgere le cose. Prima della manifestazione del 2008 tutti avevano paura, e giustamente avevano paura, perché poi è stata scoperta questa cupola mafiosa: nelle intercettazioni Archinà diceva “mando i miei amici calabresi“, sarà vera o sarà falso? Chissà, ma intanto lo diceva, e questa minaccia incombeva sulla città. Le stesse 54 persone che sono state rinviate a giudizio indicano che c’era una macchina che complottava per tenere sotto giogo tutta la città, e adesso ci stanno riprovando in un altro modo, dicendo che tutto va bene, che l’aria è buona, stanno tentando una nuova via. E’ giusto lottare contro queste menzogne, un giorno viene detta una cosa ed il giorno dopo un’altra, ma soprattutto il discorso è quello di partire dalla cultura: quando avremo una base, un tessuto sociale con una certa cultura le alternative le troveremo, e si possono trovare, progetti e soldi a disposizione, sia regionali che europei ce ne sono e saranno tanti, la realtà è che non si propongono. In questo la Regione Puglia forse ha anche ragione: ieri parlavo con gli amici della Jonian Dolphin e li invitavo a fare dei progetti reali, e la risposta ottenuta è stata “ma a noi non ci guardano in faccia“. Bene, i progetti non li deve proporre un solo movimento ma dieci, cinquanta movimenti tutti insieme, andremo a bussare ed avremo un potere di contrattazione maggiore. Un esempio è l’espansione con il progetto Cimino: la città si è sollevata e adesso voglio vedere cosa faranno. Tutti i ragazzi o i gruppi devono cominciare a creare progetti, un esempio sono i ragazzi di Ammazza Che Piazza: puliscono le piazze e i giardini gratuitamente, il Comune ha stornato due milioni per le pulizie del verde per l’AMIU. Creiamo delle cooperative di 70-80-100 persone e facciamo un appalto con il Comune per pulire le piazze! Perché questi ragazzi devono farlo gratis ed altri, invece, devono prendere soldi senza fare un cavolo? E’ un discorso di cultura, ed è questa che dobbiamo cambiare.
Angelo: L’Italia, non solo Taranto, ha bisogno di una rivoluzione culturale per essere cambiata. C’è un qualcosa che si chiama etica della responsabilità, ed è quello che salvaguarda il paese dal diritto del più forte. Questo vale da chi governa, ti faccio un esempio: io ho impiegato – parlando con un parlamentare tedesco dei Verdi (Die Grünen) – un’ora e mezza a fargli capire cosa fosse il condono edilizio, perché per loro è inimmaginabile e impensabile che uno possa costruire la propria casa sul demanio dello Stato e si faccia successivamente dare l’autorizzazione. E invece noi abbiamo avuto dei governi che hanno legalizzato l’illegalità, è un problema di etica della responsabilità da parte di chi governa ma anche da parte dei cittadini: a Napoli, nell’hinterland napoletano, la gestione dei rifiuti è una grande responsabilità da parte delle amministrazioni, ma anche da parte dei cittadini che sempre di più stanno reagendo ma allo stesso tempo alcuni pensano che sia giusto buttare l’immondizia in mezzo alla strada. Questo è un paese che si salva solo grazie all’etica della responsabilità ed alla rivoluzione culturale.
Alessandro: La soluzione è quella contenuta nella risoluzione europea del Maggio del 2013 che indica tutta una serie di azioni di sviluppo alternativo e sostenibile per le aree di crisi industriale, è un lungo e dettagliato elenco di come si può partire dalla riconversione del modello produttivo inquinante per andare verso modelli sostenibili che partano dalla bonifica del territorio, verso un uso responsabile del territorio, un uso ad esempio dei prodotti agricoli di cui venga garantita la salubrità, certificare i prodotti zootecnici. Solamente in questa maniera noi possiamo puntare su un allevamento ed un’agricoltura di qualità, che superi l’esame della sicurezza alimentare che è molto importante. In questo momento noi sappiamo che a Massafra ci sono bovini con la diossina, sono state abbattute pecore e capre con la diossina, e se non riusciamo a superare questo problema e non riusciamo ad andare verso una certificazione dioxin-free molti dei prodotti della terra verranno considerati contaminati. E’ necessaria una bonifica dei terreni ed un grande lavoro di certificazione dei prodotti della terra, oltre ad un lavoro nelle scuole affinché vengano promosse le energie alternative, che possono costituire un fulcro su cui realizzare quello che è il progetto di sviluppo nuovo (solare, vento, costruzione di edifici che siano ad alta efficienza energetica). C’è la possibilità di creare un’economia ed un indotto intorno, ad esempio, al recupero dei computer utilizzati e che sono diventati obsoleti, spesso vengono gettati quando invece possono essere riportati a nuova vita con il sistema operativo Linux, con la versione Lubuntu, ottenendo in questa maniera due risultati: riutilizzarli nelle scuole e lì dove c’è bisogno, ed evitare quel fenomeno che è l’abbandono negli scantinati o nelle discariche di elettronica che ha un alto impatto inquinante. Questo è solo un esempio di come, se ci specializzassimo in un determinato settore, potremmo realmente creare delle eccellenze. Un altro settore per costruire uno sviluppo per Taranto è ad esempio quello della rinascita delle masserie, della trasformazione delle masserie in agriturismi, e della costruzione attorno alle masserie di una rete economica che sia una rete di servizi di carattere culturale, di attrattività turistica, il recupero del bello e del senso della bellezza permette di attrarre le persone, città belle e pulite, che abbiano un entroterra interessante e che custodiscano la storia è la garanzia di poter dare sviluppo a questa nostra provincia, ed in particolare dovrebbe essere l’entroterra, la provincia, ad accerchiare la città e a svuotarla dai vecchi apparati produttivi che ormai non danno più lavoro, producono solamente inquinamento perché obsoleti e malmessi, e dovrebbe essere l’entroterra a fornire una proposta nuova che si basi sul recupero della tradizione non per tornare indietro ma per andare avanti.
Fabio Matacchiera: La cultura è stata purtroppo soppressa perché si è pensato di favorire altri ambiti, che noi siamo abituati a vedere da decenni, come quello dell’acciaio, della Marina Militare. Non abbiamo sviluppato altre economie tali da rendere la nostra cultura e la nostra economia variegate. E’ una cultura ed un economia che purtroppo mal si presta alle aperture e ai confronti con città la cui vivibilità è senz’altro migliore di Taranto e che non hanno queste mostruosità che sovrastano le nostre teste, e chiudono le altre possibilità di economie, culture e speranze. Noi vogliamo un’apertura ed un rendere la nostra città diversa da quella a cui siamo abituati, quella dell’acciaio e dei fumi.

Taranto tra 20 anni: come te la immagini?

Roberto: Se riusciamo a svoltare, Taranto tra 20 anni sarà bellissima, sarà sempre piena di luce e di attività.
Giovanni: Io la vedo bene, sarò utopista ma io non voglio più vedere questo skyline, immagino un’altra città. Voglio lanciare un messaggio al Vescovo, spero che questo lo possa ammorbidire (sorriso, n.d.r.): se chiudiamo Ilva ed ENI e spianiamo tutto, gli facciamo costruire la più grande chiesa del Mediterraneo per accogliere i cittadini africani, diventerà la più grande chiesa dell’Europa e lui sarà quel San Filippo che avrà posto la prima pietra, una spianata tipo Santiago de Compostela con tecnologie alternative. Il sogno, quello principale, è di realizzare il più grande museo della Magna Grecia del Mediterraneo: riportiamo a Taranto tutti i reperti archeologici, sviluppiamo il terziario con le tecnologie (porto e turismo, con i turisti che vengono e fanno lavorare la micro imprenditorialità che poi è quella che rimane sul territorio, a differenza delle grandi imprese che vengono e fanno i comodi loro, portano i loro soldi all’estero, evadono tutto e ci lasciano nello schifo…e anche voi potete farlo, cominciate!)
Massimo: La immaginavo incontaminata, ma a quanto pare è più facile affittare i terreni a chi installa le antenne per prendere facilmente 20.000€ al mese, questo è il succo del discorso. A livello specializzazione non c’è niente, non se ne può più, a Lama c’è un piano per l’installazione di 16 antenne. Ho personalmente fatto una colletta per fare un ricorso al TAR, e dalle palazzine adiacenti ho raccolto solo 90€ nonostante la presenza di mamme.
Angelo: Quel camino (l’E312, n.d.r.) lo lascerei, come simbolo di una storia che non può essere dimenticata, e immaginerei i migliori architetti del mondo realizzare delle bellissime iniziative urbanistiche su quei suoli come musei tipo il Guggenheim che è stato costruito a Bilbao, e fare in modo che quella zona sia ricca di università, di centri di produzione di innovazione tecnologica, di nanotecnologie, di metropolitane che collegano questa zona con la circumnavigazione del Mar Piccolo, o la Taranto vecchia che diventa il fulcro, e che ci sia un museo archeologico più importante d’Europa – voi lo sapete che qui ci sono i reperti più importanti del mondo – e che Taranto possa diventare la porta d’Europa sul Mediterraneo, tutto con una possibilità di occupazione da noi analizzata e quantificata in 30.000 posti di lavoro. Taranto può rientrare nei grandi cicli turistici com’è successo a Bilbao: un recupero, una rigenerazione urbana, via tutti quei camini con l’E312 che rimane ed il ritorno dei giovani, il protagonismo loro e delle loro intelligenze.
Alessandro: Ci sono due scenari: il primo – il più brutto – è che la città venga abbandonata, e già abbiamo un esodo di massa dei ragazzi che arrivano in quinto e decidono di andare via, una città usa e getta, spremuta e abbandonata, uno scenario di desertificazione su cui una parte della classe politica gioca per dire “guardate, c’è solo questa prospettiva quindi rassegnatevi ed andate via“. Poi c’è l’altro scenario, che noi auspichiamo, che è quello della Rhur, dove hanno fatto una bonifica seria dei terreni, hanno creato un percorso di riqualificazione paesaggistica e hanno progettato alternative di sviluppo, hanno usato intelligentemente i fondi strutturali europei che sono usati e spesi, stiamo parlando di somme enormi che non vengono usati con progetti che siano effettivamente all’altezza degli obiettivi. Se avessimo una classe politica intelligente, preparata ed onesta questi soldi verrebbero spesi per dare lavoro ai giovani. Io prefiguro questo scenario, in cui un’opinione pubblica informata riesca da qui ai prossimi vent’anni a costruire una prospettiva futura per Taranto e la provincia, per noi ed i nostri figli.
Antonio: La vorrei semplicemente basata su industrie chiuse, anzi sparite completamente, una città in cui si possa puntare sul turismo culturale oltre a quello balneare – abbiamo spiagge da invidiare – ma soprattutto culturale puntando sul museo, visto che abbiamo milioni di reperti da uscire e mostrare, un anfiteatro che forse non verrà mai a galla, e soprattutto altre possibilità di lavoro come il porto – il secondo più grande d’Europa dopo Rotterdam dove lavorano 200.000 persone con tutto l’indotto, più della città di Taranto inclusi i bambini.
Fabio Millarte: Io sono fortemente convinto che sarà un posto dove si confronteranno ancora tutte le nostre contraddizioni, perché probabilmente questo mausoleo (la fabbrica) rimarrà così, non c’è una classe politica in grado di affrontare un ricambio per la città, progettare un futuro inteso come superamento dell’Ilva, siamo molto in ritardo rispetto a quelle che sono le alternative a questo mostro. Come WWF Taranto stiamo provando a fare quello che dovrebbero fare gli imprenditori tarantini, ovvero investire sulla città e sulle cose belle che abbiamo, annunciando che è possibile! Uno scienziato, ieri, Erasmo Venosi, ha detto una cosa importantissima: i soldi ci sono, non c’è la volontà, e quella si manifesta attraverso i progetti e le proposte, e queste devono arrivare da ovunque le persone si trovino. WWF, Peacelink, Fondo Antidiossina sono pronte ad ascoltare, portatele indipendentemente da dove vivete.
Vincenzo: Se non ragioniamo sin da adesso alle reali possibilità di sviluppo io credo che tra 20 anni questo sarà un territorio raso al suolo, basta vedere il paesaggio che noi abbiamo incontrato oggi venendo qui (all’Italcave, n.d.r.): sulla Statte-Taranto ci sono tutte queste imprese e attività inquinanti, sembrava un paesaggio da sopravvissuti. Noi dobbiamo invertire queste tendenze e riproporre quella che era la differenza che Pasolini dava ai due concetti: lo sviluppo è per l’accumulazione economica, il progresso è per la crescita civile ed etica di un popolo. Se i cittadini si mettono tutti quanti insieme e i messaggi sono messaggi costruttivi, la storia insegna che da parte del popolo arrivano poi i cambiamenti e le rivoluzioni gentili e democratiche che possono metterci nelle condizioni di avere un futuro meno brutto e meno compromesso rispetto a quello che c’è dato vedere oggi.

E’ possibile vincere senza poteri forti alle spalle?

Antonio: Noi i poteri forti dobbiamo spazzarli via, perché l’ecologia è qualcosa che ti viene da dentro, se sei sporco dentro non puoi fare ecologia fuori.
Fabio Millarte: Non è una questione di poteri forti in sé, è che si deve parlare della cosa e ognuno deve avere una posizione, non dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo: è nelle differenze che si possono trovare le soluzioni che stiamo cercando. La battaglia a Taranto si vince se c’è un’opinione pubblica che ha un’idea chiara di quello che succede, le soluzioni poi possono essere migliaia, ma non tocca a noi trovarle: tocca al governo, ma ci dev’essere una voce a Taranto – anche discordante – ma su un’idea precisa e consapevole, cosciente di ciò che viviamo. Ognuno può decidere, ma la gente deve sapere ciò che succede: molto è successo “sotto banco” perché le notizie non sono state divulgate, perché c’era un sistema corrotto che le ha bloccate. Adesso che la Chiesa, anche in maniera contraddittoria rispetto a quella che è la nostra posizione, partecipa alla creazione di una coscienza, di un dialogo, è una cosa positiva.
Fabio Matacchiera: Non dobbiamo farci scoraggiare dalle azioni che purtroppo vengono intraprese in cui viene risaltato il business dell’acciaio e sottomessi l’ambiente, la cultura e la salute. Non dobbiamo scoraggiarci perché tutte le grandi guerre sono lunghe, difficili, ci vuole tempo per poterle portare a termine in maniera positiva. E’ chiaro che dobbiamo anche sobbarcarci tanti sacrifici, sopportare le apparenti sconfitte che alla fine si concluderanno con la nostra grande vittoria: liberare questa città. La vita per la loro industria è diventata difficile, la magistratura sta con gli occhi puntati e devono farsi bene i calcoli, finora hanno fatto quello che volevano e adesso è molto difficile che possano continuare a farlo. Devono farsi i loro calcoli e vedere se conviene continuare così o andare via. C’è anche il problema della crisi dell’acciaio, che costa molto nella produzione ed è molto inquinante, sono tante fattori che – insieme – non fanno pensare ad un buon futuro per un’azienda che ha fatto quello che voleva fino a qualche anno fa. In passato le autorità non potevano entrare all’interno delle industrie e questo muro è stato sfondato da alcuni eroici e valorosi magistrati, noi anche grazie a questa situazione siamo riusciti a vedere tante situazioni che venivano nascoste, ora anche gli operai parlano ed il quadro è molto più vero rispetto a quello che noi non conoscevamo o potevamo solo immaginare.
Alda: L’unica forza che può combattere i poteri forti è la popolazione. A Genova 10 anni fa una fabbrica tipo l’Ilva (era l’area a caldo dell’Ilva, n.d.r.) non perché la politica ha fatto qualcosa contro i poteri forti, ma perché le mamme con le loro carrozzine sono scese per strada e non hanno smesso un attimo di urlare fino a quando non hanno chiuso e non hanno riconvertito in modo sano quella fabbrica. Siamo noi padroni del nostro destino, siamo noi, non dobbiamo mai più dire “i poteri forti, la politica, lo Stato, il governo, il Comune”: il Comune siamo noi, lo Stato siamo noi, il Municipio siamo noi! Se l’Ilva e l’inceneritore della Terra dei Fuochi continuano ad ucciderci, è perché noi glielo consentiamo: non siamo più all’età della pietra, non siamo più completamente ignoranti. Non esiste più solo la RAI, o Mediaset o SKY: esistiamo noi, esiste la rete. Questa manifestazione è stata organizzata da Cosmopolis Media, da un piccolo giornale web, e qui non ci sono le grandi testate, c’è un piccolo giornale web di Taranto fondato da quattro ragazzi come voi, che senza soldi e senza niente si sono messi a cercare e fare ed hanno trascinato qui migliaia di persone. Sembra una piccola goccia, ma l’oceano è fatto da tante piccole gocce: se siete tutti quanti piccole gocce riuscite a fare un mazzo così a tutti.

Una mossa per vincere la passività tarantina

Massimo: Personalmente non ne vedo, devi “prenderli a mano a mano” o non li fai muovere.
Angelo: Bisogna essere perseveranti, insistere e non cedere mai allo sconforto, perché penso che questa sia una battaglia che non può essere vinta. Sarebbe criminale pensare che domani a Giulia e Francesco che nascono, o tu domani che ti sposi e fai un figlio, non possono vivere più su questo territorio, è criminale. Pensiamo e siamo convinti che questa sia la battaglia giusta e noi non possiamo non vincerla. Oggi il tempo non è stato tanto clemente, ma nonostante ciò c’era della gente, e tra un mese o due bisognerà fare altre iniziative, supportare l’autorità giudiziaria e poi, quando sarà il momento, essere tutti uniti in una grande alleanza civica – anche ecologista di fatto – per dare una spallata a questo malaffare e a questa classe politica inadeguata che c’è a Taranto e che non rappresenta l’interesse pubblico.

Tu hai lottato quindi per formare un movimento unico che possa lottare contro l’inquinamento

Giovanni: La situazione di Taranto non la cambiano né a Roma né a Bruxelles, se a Taranto non saremo tutti insieme la situazione non potrà cambiare.

Oggi sono presenti associazioni e movimenti di tutta l’Italia

Roberto: Sì, da Trieste, da Servola, da Salerno…vengono da ogni parte d’ITALIA, abbiamo superato 120 associazioni come adesioni…Taranto sta dando una risposta anche come numeri, i numeri che sta smuovendo Taranto non ce li ha nessuno, stiamo facendo chiasso.

Lontanissimi da questa città, ma vicini alla nostra realtà

Ettore: Siamo più vicini di quanto si possa pensare, per la realtà che vive il nostro quartiere, che è un piccolo Tamburi e che si chiama Ferriera di Servola, un vecchio stabilimento siderurgico che è composto da due altoforni di cui uno ormai in disuso e un impianto di agglomerazione che è comune a Taranto, Trieste e Taranto sono le uniche dure realtà che hanno un impianto di agglomerazione che è poi quello che emette la diossina, e una cokeria a 66 forni. Chiaramente le problematiche che investono le case a 150 metri dalla cokeria (e le case sono più vicine della prima centralina), la nostra situazione è simile a quella dei Tamburi. Abbiamo medie di benzoapirene, nel corso degli ultimi sei anni e per uno stabilimento che ha da 6 anni l’AIA, siamo tra i 3 e 6 nanogrammi contro 1 massimo consentito. Solo quest’anno, grazie alla crisi della siderurgia, siamo riusciti a scendere a una media di 1.3, con la cokeria che viaggia a regime ridotto. Quindi non è merito né degli amministratori né della politica ma purtroppo solo della crisi economica se siamo vicini ai limiti di legge, ma vicini oltre. Con le ordinanze dei sindaci e i decreti si grattano le panze.

Facendo un parallelo con Trieste, Salerno o Brindisi, come giudica la partecipazione qui, nella città di Taranto?

Ettore: Molto più sentita che a Trieste, probabilmente anche vista la dimensione dello stabilimento che interessa molta più gente.
Lorenzo: Penso ci sia una buona partecipazione, all’inizio sembravamo essere pochi ma credo si sia intorno a 6-7000 persone. Credo sia molto importante che la gente si muova, soprattutto perché solo con la partecipazione possiamo pensare di svoltare, se aspettiamo che chi ci dovrebbe rappresentarci e fare il proprio dovere senza la spinta dei cittadini allora andremmo incontro al fallimento delle istituzioni, con silenzio ma anche complicità. Noi cittadini dobbiamo rompere questo silenzio e partecipare, e oggi la gente qui è tanta.
Donato: Queste iniziative non devono porsi come obiettivo sempre i grandi numeri, è invece importante che il paese – una frazione come Statte – comunque veda che le persone sono tante, non bisogna sottovalutare questi momenti perché i cambiamenti avvengono anche con le piccole cose. E’ comunque importante che se ne parli, non è facile in un percorso del genere portare grandi numeri. Noi ad esempio a breve organizzeremo un presidio sotto EDIPOWER, che è un complesso industriale energetico, una centrale che va a carbone ed è esattamente a 7-800 metri di distanza dal centro abitato dall’interno del porto, e ci compromette un’area vastissima, di porto, una zona dove si scarica il carbone, quindi le carboniere costantemente attraccate pregiudicano un sacco di risorse. La partecipazione a Brindisi non sempre c’è, a volte c’è stata e a volte un po’ meno, ma bisogna continuare.

Si potrebbe però fare molto di più

Ettore: Accontentiamoci.

Il tuo pensiero riguardo la “maretta” che ha preso piede in città, l’ennesima divisione alla quale noi tarantini siamo andati incontro (la divisione tra i gruppi e le associazioni dovuta alla presenza del Vescovo al convegno del 5 Aprile, n.d.r.)

Fabio Millarte: Noi accusiamo questa differenza, ma le distanze sono piccole, ci si ferma ai cavilli e questo rende difficile il dialogo. Io personalmente ho condotto le trattative con gli amici dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, e quello che è stato l’oggetto della discordia è stata la presenza del Vescovo di Taranto all’interno di un parterre di persone che sono venute a parlare e che erano convinte e compatte per la chiusura dell’area a caldo. Noi abbiamo voluto dare la possibilità anche alla Chiesa, e quindi anche alla stragrande maggioranza dei tarantini che sono cattolici e che vogliono sentire una parola dal Vescovo, che anche che sia contro quello che noi vogliamo ma è importante che incominci a essere divulgata l’idea che anche quella parte della città che fino ad adesso ha partecipato a mantenere il sistema adesso incominci a dire “va bene, prendiamo le distanze con ciò che è accaduto, vediamo se si può fare qualcosa“.

Il tuo contributo da singolo cittadino

Nico: Cerco di fare del mio meglio in tutto.

La presenza scout, forse un po’ piccola per l’occasione

Nico: A volte è difficile entrare direttamente in certi meccanismi, noi siamo qui perché viviamo e conosciamo il nostro territorio.

Com’è andata questa giornata?

Vincenzo: Bene, perché le condizioni del tempo no lasciavano presagire nulla di buono, invece quando siamo partiti non eravamo meno di 10.000, almeno secondo le stime delle forze dell’ordine. Non era un’iniziativa che partiva dalle vie del centro di Taranto, ma in un tratto di strada decentrato rispetto alla città, quindi tutti questi elementi di novità e difficoltà rendono ancora più importante questo dato numerico.

Ci saranno altre iniziative di questo genere?

Vincenzo: Vediamo, non dobbiamo sicuramente disperdere il contributo e la forza che c’è stata data, questa è la nostra Perugia-Assisi. Così come Aldo Capitini ideò quella marcia per la pace, così noi vorremmo che questa iniziativa sia da ripetere ogni anno con l’intento di dare alle popolazioni un riscatto sui temi della dignità umana e del rispetto per la vita.

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